martedì 28 ottobre 2014

Colapasta.

E' poesia allo stato puro grondare invisibile sangue senza vederlo affiorare in superficie. Si addensa alle cellule, si infetta tra le molecole condensando prismi di chiaro scuri, delizia agli occhi dei più.
Ciò che ho dimenticato fare è che non so nemmeno più scrivere, cosa che un tempo mi riusciva con una maestria quasi sepolcrale. Adesso vedo solo macerie, rivoltate dentro e fuori l'anima, brandelli di carne resi putrescenti dall'egemonia dell'insuccesso. Perchè “saper essere”, saper stare sempre al proprio ruolo fa così male che ti ritrovi senza volerlo a macinare granelli di solitudine con mortaio e pestello a rappresentare Vita ed Esistenza, Errori ed Orrori, Emozioni e Collisioni, Desideri e Cadaveri, Scheletri ed Armadi.


Fa così male l'intruglio al veleno, che il mio corpo dentro brucia e fuori è gelido come il ghiaccio. Una contrapposizione quasi soave se non fosse che a viverla sono io. Non è stata notte per quieto riposo questa, anzi. Ho lasciato le pupille a seccarsi sul comodino, dimenticando persino di concedere ossigeno ai miei polmoni.
A volte credo che nessuno mai potrà capire il Dolore. Quello vero. Quello che ti punta come uno spillo e ti rende un colapasta mal riuscito. Perché è questo che sono: un grosso, grasso, colapasta bucherellato, che giace consunto sul fondo del lavandino. Un istante precedente era pieno, poi in un attimo si svuota. E non resta più niente. Né acqua bollente. Né cibo.
Nulla.


Ma è questo quello che succede agli oggetti. Tutto indispensabile, poi basta accartocciarli e buttarli nell'indifferenziata per disfarsene e ti accorgi che si può farne a meno.



Sono niente. Che bella novità.

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